Silvretta
08.12.2016 - in

Silvretta

Si parte!

Parto da Milano un venerdì pomeriggio, direzione Svizzera.

Mi aspetta una tappa di circa 200 chilometri, di “riscaldamento”, un modo per iniziare ad entrare nella mentalità del viaggio, per disintossicarmi dalla città e per pregustare quello che verrà.

L’Engadina è una dei miei posti preferiti: belle strade e ben tenute, curve dolci che si alternano a quelle più strette e tortuose, laghi che diventano specchi in cui guardare il panorama. Ma questa volta non ho tempo e faccio solo il passo del Maloja. Conoscete il Passo del Maloja? Si trova a 1.815 m di altitudine e collega la Valchiavenna con l’Engadina, in pratica unisce Chiavenna a St. Moritz. Arrivando dall’Italia si trovano tanti tornanti ma basta arrivare in Svizzera per trovare un panorama completamente diverso, fatto di laghi e curve dolci.

monica

Passato il Maloja, all’altezza di Silvaplana (quindi prima di arrivare a St. Moritz) giro a sinistra e mi avventuro in una larga valle, la Valbella, dove la strada è prevalentemente dritta. Comincia già a fare buio ma, proprio la luce del tramonto, avvolge le montagne di un’aurea dorata che le rende ancora più imponenti e misteriose. Supero un paese che si chiama Savognin, un antico villaggio montano dei Grigioni: ponti medievali, tre campanili e il passo Julier sempre aperto lo rendono una destinazione perfetta per tutte le stagioni. Ma io non ho tempo di fermarmi troppo, ho programmato di passare la notte poco più avanti.

Day 2

La mattina successiva parto di buon’ora perché voglio arrivare al Silvretta abbastanza presto, per evitare di trovare troppo traffico. Seguo per Coira, considerato il più antico agglomerato elvetico che spesso viene chiamata “la città più vecchia in Svizzera”. Ma per me Coira è famosa perché fu proprio qui che,

nel 1780 il birraio grigionese Rageth Mathis fondò il Calanda Brau, birrificio che ebbe un grande sviluppo con il suo marchio di birra “Calanda” e che esiste a tutt’oggi, ma di proprietà dell’olandese Heineken che lo acquisì nel 1993.

Naturalmente non sto facendo l’autostrada ma la strada statale, che spesso la costeggia. L’asfalto è molto umido perché la notte ha piovuto e il clima

curvagti

è ancora instabile, tante nuvole e temperatura non certo estiva. Ma la strada è tutta da guidare, larghi tornanti che sembrano tuffarsi nelle montagne e poi arrivo a Sankt Luzisteig, un valico che collega la Svizzera al Liechtestein, non molto alto, sono a 713 m s.l.m. ma il posto è molto suggestivo. C’è una fortezza e un museo militare ed è tutt’ora utilizzata come caserma per l’esercito svizzero.

La strada passa attraverso le mura di fortificazione, attraversa il centro della fortezza e poi sbuca sull’ex ponte levatoio per la porta stretta, dove si apre una strada che entra direttamente in un bosco che sembra quello delle fiabe.

Sbuco in Liechtestein e quindi passo da Vaduz, capitale del principato e residenza ufficiale del principe sovrano, che si trova sulla riva del Reno.

Pochi chilometri mi separano dall’Austria e quando passo il confine, la strada è praticamente sempre dritta. Dopo circa un centinaio di chilometri da dove ho dormito la sera precedente, arrivo al Silvretta.

Il Silvretta è una catena montuosa che si sviluppa in Svizzera e in Austria e ha diverse vette che superano i 3.000 metri, la più alta è il Piz Linard, di 3.411 m di altezza che si trova in Svizzera. È attraversata da una strada alpina, la Silvretta Hochalpenstrasse appunto che, come spesso fanno gli austriaci, è una strada “privata” a pagamento ed è aperta solo d’estate. È considerata una delle più belle e panoramiche delle Alpi austriache e io, dopo aver già fatto il Grossglockner, ero davvero curiosa di percorrerla.

La sua costruzione inizia nel 1925 ma viene aperta al pubblico solo nel 1954. L’ho presa da Partenen a 1.051 m, dove ho pagato il biglietto di 15 euro, in direzione Galtur, a 1.725 m, passando dal punto più alto a Bielerhohe a 2.032 m. La strada è lunga 22,3 km e ci sono 34 tornanti, l’asfalto è ovviamente ben curato e tutta la strada è mantenuta in ottime condizioni. Non solo si guida che è un piacere, ma anche il panorama è proprio spettacolare. Si arriva al Lago Vermuntstausee che è davvero mozzafiato. Ha un colore che non saprei descrivere, perché è un verde petrolio, che cambia a seconda della nuvola che sta passando in quel momento. La diga è davvero immensa. Si può fare una bellissima e lunga passeggiata, si attraversa la diga e dall’altro lato si può continuare il cammino, attraversando un tunnel, sul costone della montagna. Vale la pena andarci senza essere di corsa per avere il tempo di fare quattro passi in questo posto surreale.

Mi rimetto in macchina con piacere perché sono curiosa di vedere cosa mi aspetta. La strada continua in mezzo a tornanti ma pian piano si addolcisce e scende a valle, dove ci sono lunghi rettilinei circondati da montagne che sembrano abbracciarmi.

La giornata è volata ma non è ancora finita. Ho previsto di fermarmi per la notte a una novantina di chilometri dopo il Silvretta, a Nauders, un paesino austriaco di 1.500 anime in Tirolo che si trova a 1.394 m s.l.m. Questo paesino fu un’importante stazione doganale lungo la Via Claudia Augusta già in epoca romana e chi mi conosce sa che ho un debole per le vecchie strade romane, quindi non potevo non fermarmi qui. Questo poi è l’unico comune appartenente alla Val Venosta rimasto sotto sovranità austriaca dopo l’annessione dell’Alto Adige all’Italia nel 1919. Ci sono anche un Castello, il forte e un passaggio fortificato che aveva la funzione di dogana, sul fiume Inn.

castle

Il forte è uno dei pochi forti austro-ungarici ancora completamente intatti e si può vedere facilmente perché si trova proprio lungo la strada. Il castello di Nauders si trova sulla collina nel centro del paese, risale al XII secolo e fin dal 1330 fu sede del tribunale della zona: il giudice doveva essere un tirolese e, fino al XVII secolo doveva conoscere la lingua romancia (che io non sapevo neanche esistesse!). Nel 1980 il Castello diventò proprietà privata della famiglia Kollemann e oggi ospita due appartamenti per vacanze, un ristorante, che si trova dov’erano le vecchie scuderie e un museo. Non potevo non vederlo da vicino e, prima di andare a dormire, ho fatto una passeggiata a piedi per raggiungerlo, ho lasciato la macchina e il volante per fare un breve viaggio nel tempo che è stato davvero piacevole.

Day 3

Non sono lontana dal confine italiano, 5 km mi separano dal Passo Resia e la mattina dopo mi sveglio, carica per macinare i chilometri che mi mancano, più di 280 chilometri per tornare a casa, ma lungo strade incantevoli. Il Passo Resia, anche se si trova a 1.504 m s.l.m, non ha davvero niente del passo alpino: è pianeggiate e le curve non possono certo definirsi tali ma il lago col campanile, da solo, vale la pena di essere visto.

resia

Non sapete la storia? Nel periodo fascista il governo avviò un piano ambientale che prevedeva la costruzione di un lago artificiale, il lago Resia, con la relativa diga. Il progetto prevedeva che un piccolo villaggio e diversi masi venissero evacuati e sommersi ma lo scoppio della seconda guerra mondiale bloccò tutte le opere che vennero riprese e completate nel 1950. Del vecchio villaggio sommerso venne salvato solo il campanile che ora emerge dalle acque di fronte al villaggio di Curon Venosta. Ci sono arrivata una domenica mattina piena di sole e di vento e il lago era preso d’assalto dai kyte surf che veleggiavano intorno al campanile facendo evoluzioni mozzafiato. Insomma ne è valsa la pena!

kytesurf

A questo punto mi aspetta LUI, il passo per eccellenza, la strada per definizione, quella che usano anche tante case automobilistiche per fare test di ogni genere: lo Stelvio. La strada fu voluta dall’imperatore Francesco I d’Austria ed è piena di siti storici legati alla prima guerra mondiale dove sono ancora ben evidenti i resti delle trincee e delle fortificazioni realizzate. È il secondo valico automobilistico più alto d’Europa, dopo il colle dell’Iseran e collega Bormio e la Valtellina con la Val Venosta (quella del passo Resia dal quale arrivo io): ci sono 48 tornanti sul versante altoatesino e 40 su quello lombardo. Un’opera realizzata in soli tre anni, dal 1822 al 1825, e progettata dallo stesso ingegnere che realizzo anche lo Spluga: Carlo Donegani.

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Non ho molto da aggiungere, è una strada che parla da sola e di cui vi ha parlato anche Giulia.

Ognuno ha un feeling particolare e personale con questa strada, per me ogni tornante è un’emozione, la macchina che si sta guidando in quel momento prende vita e si diventa un tutt’uno con la strada, con le nuvole, con il freddo e con la temperatura che si abbassa. Le montagne sono imponenti e viene naturale portare un gran rispetto e guidare in silenzio, sentendo solo il rumore del motore. Quando si arriva in alto c’è proprio il bisogno di fermarsi un attimo, scendere dalla macchina e respirare quell’aria, ancora piena dell’odore dei freni e delle gomme, che si mischia al profumo della montagna. Intensità: questa è la sensazione che mi dà lo Stelvio, ogni volta che lo faccio.

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Solo un consiglio: non fatela di domenica, oppure fatela all’alba. Troppo traffico, troppa gente, troppe moto, troppi camper, ma soprattutto troppe bici. Fatta così non la si gode affatto, anzi diventa ancora più pericolosa di quanto già effettivamente non lo sia.

La discesa è meno faticosa anche se ugualmente “guidata” e intensa e va gustata in ogni sua parte.

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A questo punto si passa Bormio, poi Tirano e si fa la lunga strada che porta a Sondrio e arriva sul lago di Como. Anche la strada noiosa del rientro in città non sembra tale perché i vividi ricordi di tutto quello che ho visto mi accompagnano come se li avessi ancora davanti agli occhi.

Si chiude così il cerchio iniziato venerdì e già sto pensando al prossimo roadbook!